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“Così muore un eroe”, i figli ricordano Sergio Biamino morto per salvare i suoi cavalli

biamino27-11-2016- 10:31 -“Così muore un eroe”, i figli ricordano Sergio Biamino morto per salvare i suoi cavalli.

Oggi è domenica ma non è una giornata di festa per Perosa Argentina, il paese che ha pagato il prezzo più alto per questa ondata di maltempo. L’intera comunità ora si interroga: perché è morto Sergio Biamino, volto noto nel paese? La riposta  è unica e certa: Sergio è morto perché era un uomo generoso, i figli dicono “Cosi muoiono solo gli eroi”e aggiungono “ Ci aveva insegnato tutto sino alla fine dei suoi giorni”. In quella notte, più buia delle altre, dove la pioggia torrenziale annebbiava la vista, e il rumore dei massi che rotolavano nel greto di un rio, che solitamente brontola ma che  ora ruggiva, assordava, lui era uscito di casa con uno dei suoi due figli, Andrea, per portare in salvo i cavalli. La sua grande passione. Si dice che per vivere serve un sogno, ma un sogno non dura una vita. Quello di Sergio è svanito nelle prime ore di venerdì mattina. Un attimo, una fatalità: la cronaca è nota a tutti, la strada che  stava percorrendo è stata divorata da un  torrente che ha ingoiato piante, terreni, asfalto, ma soprattutto una vita.

Nel buio impossibile non cadere in questa trappola. L’hanno cercato per ore uomini coraggiosi: Vigili del fuoco, che hanno coordinato le operazioni, e Soccorso alpino si sono arrampicati sui massi e hanno camminato nel fango. Poi, quando la ricerca a piedi è diventata un’impresa impossibile, sono saliti sull’ elicottero che volando basso, a volte vicino a piante e cavi elettrici, ha perlustrato il torrente Chisone. Le speranze in questi casi sono flebili, la forza di un torrente in piena porta lontano e insabbia le sue vittime, ma per Sergio, Picin come lo chiamavano tutti, il destino aveva deciso di restituirlo ai suoi cari. Il pilota dell’elicottero  quando è arrivato vicino all’isolotto, a pochi metri dal ponte per San Germano, ha puntato la prua verso il basso per vedere meglio. Poi è rimasto in “hovering” a pochi metri dal suolo, perché lì si doveva guardare meglio. Con il verricello si sono calati un vigile del fuoco e un uomo del soccorso alpino. Poi, una volta a terra, rivolti al pilota hanno fatto un cenno di conferma con la mano. Pollice e indice uniti. Ok. Ricerca conclusa. Nel linguaggio dei gesti è un segnale positivo, ma qui nessuno sorride. Certo ha ragione Luigi Barus, del soccorso alpino, quando, con la sintesi che solo gli uomini che vivono la montagna posseggono, dice: “ Abbiamo iniziato la giornata pensando ai vivi, portando loro aiuti e cibo, la finiamo pensando ai morti. C’è un corpo nel fiume da restituire ai parenti”.  Lo dice mentre dalla radio arrivano le voci di chi sta lavorando per riportare sulla riva Sergio. E’ ormai buio, nel cielo si sono accese le prime stelle, quando i fari del carro funebre si allontanano. C’è un silenzio strano a San Germano, le luci blu dei lampeggianti dei carabinieri illuminano a tratti i volti dei parenti e degli amici di Sergio, stretti da un riservato dolore. Un  mesto corteo dal quale si solleva una sola parola, indirizzata  a chi ha ridato loro la possibilità di deporre un fiore sulla tomba. Grazie, grazie, grazie.

A.G.

 

 

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