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JoJo Rabbit di Taika Waititi apre il Tff

TFF 1 grande passoSotto il segno del mal tempo, che attanaglia l’intera regione, è iniziata nel capoluogo piemontese
l’edizione numero trentasette del Torino Film Festival. Dalle code per l’ingresso in sala che si sono
viste in questo primo fine settimana, verrebbe da dire “edizione bagnata, edizione fortunata”.
Speriamo che, al termine della kermesse, sia stato veramente così.
E ora parliamo di cinema. Il compito di aprire la rassegna è andato al film JoJo Rabbit di Taika Waititi, che ritorna così al Festival dopo l’ottima impressione che nel 2014 aveva suscitato il brioso “What We Do In The Shadow”. Anche in questo caso ritmo e humor non mancano. La storia è quella di un bambino di 10 anni che, nella Germania del 1945 prossima alla caduta del regime nazista, vuole diventare un perfetto discepolo del Fuhrer (che è poi anche il suo “amico immaginario”). Finirà, invece, per innamorarsi di una ragazza ebrea più grande, che la madre,
collaborazionista degli alleati, nasconde in casa per sottrarla alla persecuzione antisemita. Il tema
è, di questi tempi, più attuale che mai e la pellicola (con gli ottimi Sam Rockwell e Scarlet
Johansson) riesce a dipingere una parodia del nazismo molto originale. Ottima anche la colonna
sonora. Peccato che il film, a parte la cerimonia di apertura solo su invito, sia stato proiettato solo
un’altra volta, con la conseguenza che molti non sono riusciti a vederlo. Da gennaio comunque sarà
in tutte le sale, non perdetelo.
Tra i film in concorso abbiamo visto
Algunas Bestias, pellicola cilena del regista Jorge Riquelme Serrano. Tre generazioni di una famiglia dell’alta borghesia cilena passano un weekend in un’isola di loro proprietà, completamente deserta. Niente andrà per il verso giusto, dal fatto di essere abbandonati nell’isola dal loro accompagnatore, all’esplodere dei contrasti familiari in un massacro del “tutti contro tutti”. Fa da teatro della vicenda una pioggia quasi incessante (proprio come in
questi giorni in città) che rende l’atmosfera del film molto “gotica”. Pare a tratti una pellicola di
Haneke o di Lars Von Trier. Con Alfredo Castro, oramai abituè del Festival. Duro e spietato e per
questo molto bello.
Sempre in concorso il gioiellino francese Le Choc Du Future di Marc Collin (cofondatore della band
new wave-bossonova Nouvelle Vague, specializzata in cover di pezzi post punk e wave di fine anni
’70 e anni ‘80), al suo esordio. Nel 1978 una giovane parigina (la bellissima e brava Eva
Jodorowsky) sogna di avere successo producendo electro music. Il film piacerà tantissimo agli
appassionati di musica (il genere trattato è quello, meraviglioso, sorto dall’incontro tra new wave e
disco music) cavallo degli anni ’70 e ’80), ma non solo. La pellicola, per utilizzare una terminologia
per l’appunto musicale, ha il cosiddetto “French touch”, quello stile malinconico e crepuscolare
tipico del cinema transalpino che tanto ci piace. Veramente molto bello, vediamo se verrà
apprezzato anche dalla giuria.
Unico film italiano in concorso è Il Grande Passo, opera seconda (dopo il divertente “Finchè c’è
prosecco c’è speranza”) del regista veneto Antonio Padovan, con gli ottimi Stefano Fresi e Giuseppe
Battiston. La trama, abbastanza surreale, è quella di un contadino polesano che costruisce in un
fienile un razzo per raggiungere la luna. Finirà nei guai e in suo soccorso giungerà il fratellastro
(che, in precedenza, lo aveva incontrato solo una volta) da Roma. Ne seguono tutta una serie di
gag, ma – divertimento a parte – è un film sui sogni, che, secondo quanto viene detto nel film,
distinguono “l’uomo dagli animali”. Alla fine ci si commuove. Atmosfere alla Mazzacurati (quanto ci
manchi Carlo…) per un’ottima pellicola, consigliatissima anche quanto uscirà in sala.
Il Festival propone poi, fuori concorso, anche due film del grande maestro Abel Ferarra,
Tommaso e The Projectionist. Per ora abbiamo visto il primo dei due: si tratta di un’opera fortemente
autobiografica, è la storia di un regista americano (interpretato dall’attore feticcio di Ferrara,
Willem Dafoe) che vive a Roma con moglie e figlia (interpretate dalle vere moglie e figlia di Dafoe)
dove pensa al soggetto di un nuovo film, nell’attesa di ottenere il denaro necessario per girarlo
​(proprio come sarà capitato spesso a Ferrara, spesso ingiustamente rifiutato da Hollywood) e,
intanto, tiene corsi di cinema, frequenta corsi di dizione in italiano e sedute degli alcolisti anonimi,
per evitare di tornare vittima di alcol e droga. Cerca anche di risolvere i problemi della propria vita
coniugale, ossessionato peraltro dalla gelosia. Le scene realistiche si alternano alle visioni del
regista. Bello, forse qualche lungaggine di troppo, comunque sincero e profondo con un
grandissimo Dafoe (come sempre, del resto). Sempre fuori concorso, invece, True History Of Kelly Gang
di Justin Kurtzel, con George MacCay e Russell Crowe. E’ la storia di Ned Kelly, figura mitica del banditismo australiano, una sorta di Jesse James, lui figlio di deportato irlandese che rubava agli inglesi con la sua banda di banditi vestiti da donna. Farà, com’era quasi ovvio, una brutta fine. Discreto film, con qualche scena truculenta
inutile e con un po’ di retorica di troppo, merita comunque una sufficienza abbondante.
Venendo ora alle retrospettive, la più importante e ricca (ben 36 pellicole!) è quella dedicata ai
capisaldi dell’horror, dall’espressionismo tedesco fino agli zombie, intitolata Si Può Fare! E noi
proprio dall’espressionismo siamo partiti con Il Gabinetto Del Dottor Caligari del 1920, regia di
Robert Wiene. Sembra quasi di stare in un quadro di Dalì o di Picasso, tutto è sghembo, incerto e
disturbante, compresa la stupenda colonna sonora. Il dottor Caligari è un pazzo criminale, che si
serve dell’ipnosi per indure ad uccidere, oppure un buon psichiatra? E il suo avversario, che cerca
di smascherarlo, è un pazzo o una vittima della follia di Caligari? Sullo sfondo l’ossessione di
controllare le vite altrui, fino a costringerle all’atto omicidiario, con tutti i possibili riferimenti
all’incombente orrore nazista. Uno dei capisaldi della filmografia di ogni tempo, anche ad oltre 100
anni di distanza. Capolavoro, che solo sul grande schermo può essere gustato appieno.
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