Fotoreporter, la dolcezza dell’avvoltoio
Un tempo – nei giornali con maggiori risorse economiche – al primo allarme scattava una pattuglia affiatata: autista, fotoreporter e cronista, ciascuno cosciente delle esigenze degli altri, ciascuno pronto a capire da un’occhiata, da uno scarto del viso che cosa stava per accadere e che cosa si doveva fare. Nuovi media, nuove tecniche, revisione dei tempi e delle necessità, problemi di bilancio, nuovi accessi alle informazioni, nuove scelte editoriali hanno in parte mutato quel modo di lavorare. Ma non l’hanno polverizzato, perché Solavaggione e i grandi amici e colleghi che gli sono a fianco nel libro hanno fatto scuola. Una scuola dove con la tecnica e la tenacia si sono trasmesse a una nuova generazione una fortuna e un regola imprescindibile. La fortuna è amare il proprio lavoro (“migliore approssimazione concreta della felicità”, diceva Primo Levi, citato in epigrafe). Imprescindibile è la consapevolezza di trattare – nella rincorsa del tempo che preme, tra proiettili, insulti, sorrisi – la merce più delicata che si possa avere il privilegio di maneggiare: i sentimenti, le sofferenze, la dignità, la vita degli altri.
Tratto da Fotoreporter, la dolcezza dell’avvoltoio
Di Marco Neirotti