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Il premio di miglior film al Tff è andato a Wildlife

tffSarà il segno dei tempi, ma anche il Torino Film Festival edizione numero 36 quest’anno parla un po’ cinese, visto che la giuria è presieduta dal regista Jia Zhangke proveniente proprio dalla terra della Grande Muraglia. Per rendergli omaggio, all’interno della rassegna Festa Mobile, è stato proiettato al Festival il suo ultimo film, Ash Is The Purest White (La Cenere E’ Il Bianco Più Puro). Protagonista, come in altre pellicole precedenti del regista, è la moglie Zhao Tao, che interpreta una donna dal temperamento molto forte, capace di amare lo stesso uomo per 17 anni, nonostante costui non se lo meriti. Inizia come un gangster movie, si sviluppa come un melò, per poi finire nel dramma esistenziale. Molto bello.

Un vero gioellino, poi, la pellicola statunitense, diretta da Jesse Peretz, Juliet, Naked. Duncan è il fan numero uno al mondo dell’oscuro rocker Tucker Crowe, che dopo aver goduto di una certa popolarità ad inizio anni 90 è scomparso nel nulla. La moglie di Duncan è costretta a subire quella che, più che una passione, è una vera e propria ossessione da parte del marito, fino a che non scopre il suo tradimento per una donna che aveva avuto il merito di saper apprezzare un demo di un disco del suo idolo. Ma qui la storia prende uno sviluppo inaspettato perché la donna riesce ad incontrare e finisce per innamorarsi proprio di Tucker, che intanto, nei 25 anni dalla scomparsa dalle scene, ha messo su più volte famiglia, senza però essere mai riuscito a tenersene una. Tratto da un romanzo di Nick Horby “Tutta Un’Altra Musica”, il film è assai godibile, pieno di trovare spassose, ma sa anche far riflettere sulle tematiche familiari ed esistenziali.

Nella rassegna retrospettiva dedicata ai registi Powell & Pressburger, va menzionato, anzitutto, il notissimo Scarpette Rosse (già passato al festival qualche anno fa, peraltro), capostipite di ogni film sul mondo del balletto, che ha ispirato tanto Coppola, che Vincent Minelli per “Un Americano A Parigi”, quanto – in tempi più recenti – Darren Aronofsky per il suo “Il Cigno Nero”. La storia è quella di una giovane combattuta tra l’amore per un coetaneo musicista e la passione ossessiva per la danza. Technicolor splendido (il film è del 1948), con al centro la famosissima sequenza del balletto ispirato all’omonima fiaba di Andersen. Capolavoro.

Diretto dal solo Michael Powell, invece, l’altrettanto fondamentale L’Occhio Che Uccide, del 1960. All’epoca forse troppo estremo per essere apprezzato, finì quasi per stroncare la carriera di Powell, salvo poi diventare negli anni un vero e proprio cult. Il film si basa sull’ossessione per il voyeurismo da parte di un giovane operatore, che diventa un serial killer e finisce per filmare gli omicidi che commette. Un film imprescindibile per gli amanti del genere (thriller con venature horror).

Sempre diretto dal solo Powell è stato proposto anche uno dei film meglio interpretati dal nostro Walter Chiari, They’re A Weird Mob (Sono Strana Gente). Un giornalista italiano si reca a Sydney, Australia, per lavorare nel giornale diretto dal cugino che intanto, però, è fallito. Per ripagare i debiti inizia a lavorare come muratore, ma finirà per innamorarsi, ricambiato, della creditrice principale. Questo certamente non un capolavoro, ma si fa ancora ben guardare, anche grazie alla verve di uno scatenato Chiari e ai numerosi giochi linguistici italiano/inglese del film, che meglio rendono in lingua originale. Esilarante, poi, la scena finale in cui il protagonista e la oramai promessa sposa prendono il tè con gli amici, ma alla fine preferiscono la birra.

Tra i film in concorso, invece, abbiamo visto l’islandese Vargur/Vultures diretto da Borkur Sigborsson. Teso come una corda di violino, la storia è quella di due fratelli islandesi, uno un noto avvocato e l’altro invece appena uscito di galera, che importano in Islanda droga dalla Danimarca. Ma stavolta qualcosa va storto. Teso come una corda di violino, girato in modo secco e senza troppi fronzoli, alla fine è anche un film sulle apparenze che ingannano. Buono.

Ad un livello a nostro giudizio superiore si pone La Disparition Des Lucioles (La Sparizioner Delle Lucciole) di Sebastian Piloter, sempre in concorso, film canadese che racconta le vicissitudini di una adolescente, che si appresta ad entrare nell’età adulta, in un paesino del Quebec. La giovane ha un rapporto difficile con la madre e, soprattutto, con il patrigno e ha un padre che vede poco (e che finisce, a sua volta, per deluderla). Anche gli amici, la scuola e il lavoro estivo non le sono certo di conforto. Si rifugia allora nel rapporto con il suo maestro di chitarra, musicista rock sopraffino che però – oramai sulla soglia del 40 anni – non ha mai avuto il coraggio nè di suonare in una vera band, né di andare a vivere per conto proprio, abbandonando la casa della madre. L’amore tra i due alla fine non scoppia per la differenza di età, ma resta qualcosa in più di una semplice amicizia. Tra film di iniziazione e di appronfondimento sulla complessità delle dinamiche familiari (sembra questo uno dei temi più in voga in quest’edizione del TFF) fa ridere amaro e, soprattutto, far riflettere. La malinconia regna sovrana, ma alla fine le lucciole (di cui il titolo) torneranno e la giovane si aprirà alla vita (almeno così pare). Bravi tutti, regista, sceneggiatore ed interpreti.

E ora veniamo ai vincitori. Il premio di miglior film è andato a Wildlife, pellicola d’esordio dell’attore americano Paul Dano, di cui abbiamo già detto su queste pagine, uno dei tanti film presenti al festival sui rapporti e stati d’animo familiari (ed uno dei tanti film in cui un attore si è messo dietro la macchina da presa). Premio per la migliore attrice a Grace Passo per il film Temporada di André Novais Oliveira (Brasile). Premio per il miglior attore ex aequo a Rainer Bock per il film Atlas di David Nawrath (Germania) e a Jakob Cedergren per il film Den Skyldige / The Guilty di Gustav Möller (Danimarca). Premio per la miglior sceneggiatura sempre a Den Skyldige / The Guilty scritto da Emil Nygaard Albertsen e Gustav Möller (Danimarca). Menzione speciale della giuria a Rossz Versek / Bad Poerms di Gábor Reisz (Ungheria). Infine, il premio del pubblico è andato, invece, ex aequo a Den Skyldige / The Guilty e a Nos Batailles di Guillaume Senez (Belgio/Francia). Insomma il film italiano Ride di Valerio Mastrandrea, che comunque si è fatto apprezzare ed è già presente nelle sale, è rimasto a secco.

Venendo al bilancio finale, il Festival è andato bene anche quest’anno con le sale quasi sempre piene e con grande soddisfazione della direttrice Emanuela Martina, già confermata anche per la prossima edizione. Si è fatta notare l’assenza di uomini politici sia nazionali, che locali. Da segnalare anche il taglio delle spese del 2% circa, segno dell’austerity che regna di questi tempi. In effetti, a nostro giudizio, si è fatta notare l’assenza di anteprime di pellicole di grande richiamo come avveniva in passato con film di registi del calibro di Francis Ford Coppola, Brian De Palma o Oliver Stone e anche per l’assenza di qualche ospite big in meno, ma tutto ciò avrebbe richiesto – inevitabilmente – un innalzamento del budget. Comunque, è stato assicurato che il Festival, sotto il profilo economico, non naviga in brutte acque e che ci si rivedrà il 22 novembre 2019 per l’edizione numero 37. 

 Vi.Des

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