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Al Tff anche una rassegna dei film horror

film horrorMentre lunedì 26 novembre si è spento a Roma uno dei più grandi registi, non solo italiani, di sempre Bernando Bertolucci (omaggiato al Festival con un breve filmato proiettato prima di ogni film), prosegue a Torino il Film Festival.

Tanti gli horror inseriti nella sezione After Hours, non tutti – veramente – all’altezza delle aspetttative. Anzitutto In Fabric, pellicola britannica diretta da Peter Strickland. Un grande magazzino di lusso propone in saldo uno splendido vestito rosso da donna, peccato che sia “spiritato” e che tutti quelli che lo indossano facciano una brutta fine. Molto bello l’inizio (anche la sigla iniziale) che rimanda a Mario Bava e al Dario Argento vecchia maniera, per poi perdersi però per strada, diventando scontato e noioso (complice anche la durata eccessiva). Peccato.

Anche Tyrel di Sebastian Silva, del quale si era letto un gran bene come nuovo “Get Out”, a nostro giudizio delude un po’ le attese. In una baita immersa nelle nevi del nord degli Stati Uniti si ritrovano un gruppo di amici per fare baldoria. Uno di loro porta un amico di colore che non conosce nessun altro. Presto si accorgerà che è l’unico a non essere bianco e dovrà fare i conti, nonostante l’apparente cordialità, con uno spirito di semplice accettazione del diverso, il che genera una crescente tensione. Nonostante il film voglia porre l’attenzione su questioni importanti, la storia sembra spesso sfuggire di mano al regista. Anche l’interpretazione, quasi “live”, alla lunga stanca. Ne vien fuori, insomma, un film un po’ pasticciato nonostante le buone premesse.

Non male (anche se nulla per cui strapparsi le vesti), invece, l’altra pellicola horror sanguinolenta Dead Night diretta da Brad Baruh. Una casa in mezzo ai boschi viene presa in affitto da una famiglia per il weekend, ma la tranquillità del soggiorno viene interrotta da una misteriosa donna bionda, soccorsa mentre era svenuta nella neve, che si comporta in modo sempre più strano e scortese. Costei, istigata da un manipolo di streghe, da il via ad una carneficina. La storia viene raccontata in TV in una puntata di Inside Crime, nella quale si da la colpa alla madre, arrestata immediatamente dopo il fatto. Buoni spunti e atmosfera tesa. Non deve meravigliare, poi, la scarsa originalità trattandosi di un genere oramai iperinflazionato nel quale è sempre più difficile trovare una trama o delle trovate originali.

La retrospettiva monografica quest’anno è dedicata a Michael Powell e Eric Pressburger, che per moltissimi anni hanno lavorato in coppia, anche se poi dopo il termine del sodalizio Powell continuo per conto proprio. Certamente uno dei film migliori della coppia è The Small Back Room (I Ragazzi Del Retrobottega, il titolo in italiano): nell’Inghilterra impegnata nella seconda guerra mondiale, un ricercatore impegnato nell’ideare nuove armi e nel contrastare quelle utilizzate dal nemico è chiamato a risolvere il caso di alcune bombe lanciate in terra britannica che esplodono se prese in mano da chi le ritrova. Alla fine riuscirà nell’arduo compito di imparare il metodo per neutralizzarle, nonostante il protagonista debba combattere anche un’altra battaglia, quelle dell’alcolismo per dimenticarsi del fatto che in guerra aveva perso un piede. Lo aiuta anche la giovane donna di cui è innamorato. Mirabile la scena in cui il protagonista, in sogno, se la deve vedere con una bottiglia gigante di whisky. Molto bello, con un finale tesissimo (la scena in cui il protagonista, interpretato da un bravissimo David Ferrar, riesce a neutralizzare uno degli ordigni) rimane ancora oggi un film splendido, forse addirittura troppo avanti per l’epoca in cui fu girato.

Tra i film in concorso va segnalato poi l’italiano Ride, esordio alla regia dell’attore Valerio Mastrandrea, che dirige con mano ferma, quasi fosse un veterano. La storia è quella dei familiari di un operaio morto in un incidente sul lavoro. Moglie, figlio, padre e fratello dovranno fare i conti con i rispettivi modi di elaborare il lutto, ma anche con il senso della propria esistenza. Bello e ben interpretato. Per chi lo ha perso al Festival, il film a breve dovrebbe trovare una normale distribuzione nelle sale cinematografiche.

Va segnalata anche la retrospettiva monografica sulla saga dei “resuscitati ciechi”, quattro film horror diretti dallo spagnolo Amando De Ossorio. Noi abbiamo visto il primo Le Tombe Dei Resuscitati Ciechi, bel film con atmosfere gotiche (quasi) degne del nostro Mario Bava. Fu un successo commerciale inatteso, tanto da avere ben tre seguiti, tutti proiettati al Torino Film Festival.

Infine, una menzione speciale va al documentario The Man Who Stole Bansky. Narrato dal vocione del rocker Iggy Pop, il documentario tratta dei graffiti realizzati in Palestina dal noto street art Bansky, molti dei quali disegnati sul “muro” che divide in due Betlemme tra la parte palestinese e quella israeliana, in particolare uno di essi “Il soldato e l’asino” viene “rubato” prelevando il relativo tratto del muro. Ne consegue una polemica sui diritti relativi a queste opere, sul loro sfruttamento commerciale, sul fatto che sia giusto o meno a portarle dal luogo over sono state realizzate per essere conservate. Protagonista del film è un curioso palestinese, per metà tassista e per metà body builder che si rende protagonista del “furto”. E’ anche un film sulla condizione dei palestinesi nei territori occupati. Tanta carne al fuoco dunque, eppure gli argomenti, sono trattati con tatto ed intelligenza, senza retorica, dando spazio alle varie voci in capitolo. Il film spazia tra varie parti del mondo interessate, in modo culturale o commerciale che sia, a fatti di questo tipo. Mai noioso, estremamente intelligente e, a volte, persino divertente, una delle più pellicole presentate a questo TFF.

Vi.Des.

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